Segnali di crisi per il Paese che fino all’anno scorso era considerato la nuova Cina.
L’allarme è stato lanciato nei giorni scorsi da Reuters. Secondo l’Agenzia di stampa, l’India potrebbe essere il primo tra i paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) a perdere l’investement-grade, che è come dire che le agenzie di rating non considerano più sensato investire in quel paese. Analoghe preoccupazioni sono state manifestate anche dal premier indiano Manmohan Singh che proprio pochi giorni fa, al culmine delle celebrazioni per il 66esimo anniversario dell’indipendenza, ha dichiarato che bisogna fare di tutto per rafforzare l’economia e superare l’attuale momento di crisi.
Molteplici i problemi che i in questo momento affliggono il Paese. Una crescita interna debole, che a differenza dei colleghi BRICS, non raggiunge le due cifre e che nel 2012 ha ulteriormente ridimensionato le proprie aspettative attestandosi intorno a un tasso previsto del 5%. Altra anomalia rispetto alle altre economie emergenti, è poi il deficit della bilancia commerciale, 10 miliardi di dollari, dovuto in parte alla scelta politica di favorire il mercato interno rispetto alle esportazioni, in parte al costo delle importazioni energetiche. Completa infine il quadro economico la debolezza della valuta locale, aggravata dai tentativi del governo di stimolare la crescita stampando più rupie. Proprio alle politiche nazionali, secondo un duro editoriale del Financial Times, va imputata la maggior responsabilità dell’incertezza economica indiana. Una classe politica divisa, corrotta in maniera pervasiva, che si appoggia su una burocrazia lenta e inefficiente. In India c’è la necessità di grosse riforme che cambino la struttura profonda del paese, ma è improbabile, conclude l’editoriale, che l’attuale classe dirigente sia capace di compierle.
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