In India, grazie alla compresenza di tre elementi - spirito imprenditoriale, arte di arrangiarsi e reminiscenze gandhiane - è nata Vaatsalya, una catena di ospedali specializzati nell’ affordable healthcare o "sanità a buon mercato". L'idea risale al 2004 e va attribuita ad Ashwin Naik, l'attuale Ceo di Vaatsalya, che si era posto l’ambizioso obiettivo di spodestare il modello che aveva prevalso fino ad allora nel settore sanitario del Subcontinente: quello che Naik definisce "Taj & Oberoi", dal nome delle due catene di hotel di lusso che si caratterizzano per la concentrazione di pochi e costosi ospedali nei grandi centri.
Attualmente Vaatsalya è costituita da nove cliniche in Karnataka, punta a espandersi in Maharashtra e Andhra Pradesh, e a coprire i costi d’investimento entro il 2011.
Tale modello di business si basa soprattutto sulla specializzazione nei settori che garantiscono volumi elevati e su un'attenzione frenetica ai costi. Da questo punto di vista un aiuto consistente sta arrivando da quelle multinazionali che vedono nell'India un laboratorio mondiale per lo sviluppo di soluzioni innovative a basso costo. Una delle società che intende investire maggiormente è la General Electric Healthcare che, entro il 2015, spenderà 3 miliardi di dollari. Jeffrey R. Immelt, presidente e Ceo di General Electric, si propone di seguire la della reverse innovation, un'approccio da affiancare a quello di glocalization, ovvero di ideare e distribuire, non più solo prodotti pensati nei paesi ricchi e adattati alle esigenze di quelli emergenti, ma anche soluzioni messe a punto in Cina e India per i mercati locali e in grado di "attecchire" anche nei “paesi maturi”.
Questa vision sembra esser stata pienamente accolta anche dalla ReaMetrix, una società biotech di Bangalore: uno dei prodotti di punta della stessa consiste in una linea di reagenti per il monitoraggio del livello di immunodeficienza nei pazienti affetti da HIV che costa un quinto rispetto ai competitor. Inoltre, come ha spiegato il fondatore e Ceo della società, Bala Manian, «i reagenti sono in forma secca anziché liquida e non necessitano di essere conservati a bassa temperatura»: un'operazione che in gran parte del territorio indiano è tutt’altro che banale. Secondo Manian, ci sono buone probabilità che il prodotto risulti utile e venga adottato anche nei paesi in cui la catena del freddo è già stata collaudata e funzionante da tempo.
«Venire a produrre in India solo per sfruttare la manodopera a buon mercato dà dei vantaggi competitivi», ma - ha aggiunto Manian - «è investendo nelle persone in grado di progettare nuove soluzioni a costi più bassi che in Occidente che un’azienda può creare le condizioni per crescere sul lungo periodo».
Attualmente Vaatsalya è costituita da nove cliniche in Karnataka, punta a espandersi in Maharashtra e Andhra Pradesh, e a coprire i costi d’investimento entro il 2011.
Tale modello di business si basa soprattutto sulla specializzazione nei settori che garantiscono volumi elevati e su un'attenzione frenetica ai costi. Da questo punto di vista un aiuto consistente sta arrivando da quelle multinazionali che vedono nell'India un laboratorio mondiale per lo sviluppo di soluzioni innovative a basso costo. Una delle società che intende investire maggiormente è la General Electric Healthcare che, entro il 2015, spenderà 3 miliardi di dollari. Jeffrey R. Immelt, presidente e Ceo di General Electric, si propone di seguire la della reverse innovation, un'approccio da affiancare a quello di glocalization, ovvero di ideare e distribuire, non più solo prodotti pensati nei paesi ricchi e adattati alle esigenze di quelli emergenti, ma anche soluzioni messe a punto in Cina e India per i mercati locali e in grado di "attecchire" anche nei “paesi maturi”.
Questa vision sembra esser stata pienamente accolta anche dalla ReaMetrix, una società biotech di Bangalore: uno dei prodotti di punta della stessa consiste in una linea di reagenti per il monitoraggio del livello di immunodeficienza nei pazienti affetti da HIV che costa un quinto rispetto ai competitor. Inoltre, come ha spiegato il fondatore e Ceo della società, Bala Manian, «i reagenti sono in forma secca anziché liquida e non necessitano di essere conservati a bassa temperatura»: un'operazione che in gran parte del territorio indiano è tutt’altro che banale. Secondo Manian, ci sono buone probabilità che il prodotto risulti utile e venga adottato anche nei paesi in cui la catena del freddo è già stata collaudata e funzionante da tempo.
«Venire a produrre in India solo per sfruttare la manodopera a buon mercato dà dei vantaggi competitivi», ma - ha aggiunto Manian - «è investendo nelle persone in grado di progettare nuove soluzioni a costi più bassi che in Occidente che un’azienda può creare le condizioni per crescere sul lungo periodo».